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La storia del loro arrivo e de’ loro casi nell’isola da che io n’era lontano, è sì notabile, sì ricca d’incidenti collegati con la prima parte della mia relazione, che non posso non addossarmi il piacevole carico di trasmetterne i particolari alla lettura di chi verrà dopo di me; tanto più volentieri in quanto le cose narrate prima agevolano l’intelligenza di quelle che vengono dopo.


Indispensabile ricapitolazione di antichi eventi e di una circostanza omessa.



N

on intrigherò il racconto di questa parte di storia col farlo in prima persona: ciò che mi obbligherebbe a ripetere le dieci mila volte: Egli disse, io dissi; egli mi narrava, io gli narrai, ec.; ma cercherò di raccogliere storicamente i fatti, cavandoli con l’aiuto della mia memoria da quanto mi fu riferito, e da quanto mi accadde di sapere nel conversare con gli abitanti dell’isola, e nell’esaminarne la nuova condizione.

Per essere chiaro e breve quanto si può per me, mi fa d’uopo tornare addietro su le condizioni in cui lasciai l’isola stessa, e in cui si trovavano i personaggi de’ quali è mio debito il favellare. E primieramente mi è necessario il ripetere come io spedissi il padre di Venerdì e lo Spagnuolo (da me sottratti entrambi agli artigli dei selvaggi) al continente, o a quella terra almeno ch’io aveva per un continente, entro un ampio palischermo a cercare gli Spagnuoli lasciatisi addietro, e non solo a soccorrerli quanto al presente, ma preservarli da una calamità simile a quella di cui rischiarono essere vittime i miei due messi, concertando insieme tale via onde in comune ci adoperassimo alla nostra liberazione, se pure era possibile.

Mentre io mandava a tale spedizione questi due, io non aveva la