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402 | robinson crusoe |
stessa per far vivere il figlio con tanta affezione, che poi soggiacque pienamente alle sue privazioni. Giacente, quando entrammo nella stanza, sul pavimento e con le spalle appoggiate su la parete, con le mani raccomandate alle braccia di due sedie accostate l’una all’altra fra cui si stava col capo affondato entro le spalle, somigliava assai più ad un cadavere che a creatura vivente. Il mio aiutante le disse quanto potè per rincorarla e farla rivivere, mentre cercava introdurle in bocca un cucchiaio di cordiale. Ma aperse le labbra, sollevò una mano; intendea le parole del mio aiutante, essa non poteva parlare, dicea per cenni essere troppo tardi, additava in alto di raccomandarlo il figliolo, parea dicesse: «Deh! non l’abbandonate!» Commosso non men di me a tal vista il mio aiutante, pur si sforzava di farle prendere alcune sorsate della pozione apprestatale; diceva anzi d’esserci riuscito per due o tre cucchiai; ma temo la speranza l’avesse ingannato. Realmente fu troppo tardi, ed ella morì in quella notte medesima.
Il giovinetto serbato in vita a prezzo dei giorni di una così tenera madre, non era giunto ad uno stato sì estremo, pur giaceva assiderato sopra un letto della foresteria, dando ben pochi segni di vita. Teneva in bocca un mezzo guanto, di cui s’avea mangiata l’altra metà; pure essendo più giovine e avendo più vitalità della madre, cominciò a riaversi sensibilmente dopo alcune cucchiaiate di cordiale che il mio aiutante pervenne a fargli inghiottire. Per altro qualche tempo dopo avendogli amministrato del cordiale stesso in dosi, a quanto parve, più abbondanti del dovere, era tornato a star male e le rigettò.
Non fu dimenticata nemmeno la povera fantesca. Stesa sul tavolato a fianco della padrona, somigliava a persona che colpita da un tocco d’apoplessia stesse lottando con la morte. Attratta in tutte le membra, s’aggrappava con una mano al fusto d’una scranna e tenealo stretto con tanta forza, che ci volle della fatica a farglielo abbandonare. Si tenea l’altro braccio sopra la testa, i suoi piedi stretti insieme premevano il piè d’una tavola; in somma, ancorchè viva tuttavia, era in preda a tutte le agonie della morte.
La povera creatura non era solamente così malconcia dalla fame e spaventata dall’idea di morire, ma, come ne fu raccontato da poi, straziavale tuttavia il cuore l’idea d’aver veduta per due o tre giorni agonizzante la sua padrona, che allora non era più e ch’ella amava in guisa straordinaria.