Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/395


robinson crusoe 343

restante lo assicurai che, se fossi tornato a possesso della mia piantagione, avrei considerati come un debito verso di lui anche i cento moidori allora accettati; e così veramente feci da poi.

— «Quanto alle carte, continuai, che provano i diritti vostri e di vostro figlio sul vascello mercantile, di cui mi parlate, non voglio nè manco toccarle. Se mai venissi in nuova penuria di danaro, so che siete onesto abbastanza per non lasciarmivi. Ma ove questo caso non avvenga, e se arrivo a ricuperare il mio, come mi fate sperare, non voglio mai più un soldo, che è un soldo! da voi.»

Esaurito che fu questo punto il mio capitano mi offerse la sua assistenza nel procedere agli atti di cui facea mestieri per ricuperare le sostanze mie nel Brasile, ed avendogli io risposto che pensava andar colà in persona, egli soggiunse:

— «Fate come credete; pure se non voleste il fastidio di questo viaggio, avete mezzi bastanti per assicurarvi i diritti vostri da quelle parti, e per ricuperare il godimento delle vostre rendite senza movervi di qui.»

Mi lasciai dunque regolare da lui. In quel momento appunto stavano sul Tago molti bastimenti destinati pel Brasile; ond’egli per prima cosa fece iscrivere il mio nome ad un pubblico registro, mediante un suo giurato attestato che autenticava essere io vivo, ed essere quella stessa persona da cui fu comprata da prima la piantagione. A questo documento munito della debita legalità per man di notaio egli mi fece unire una lettera di procura ad un mercante del Brasile suo corrispondente, al quale accompagnò queste carte con una lettera sua propria.

Poi mi sollecitò a rimanere con lui in espettazione di una risposta.