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robinson crusoe 333

Partenza dall’isola.



T

erminato ch’ebbi di fare i miei dovuti ringraziamenti, e portati che furono nella mia stanza quegli squisiti regali, cominciammo a consigliarci su ciò che convenisse fare dei nostri prigionieri; ed era bene un punto degno di essere ponderato: se ne tornasse cioè il pigliarci costoro con noi, massime due di loro, che il capitano sapeva essere incorreggibili al massimo grado e capacissimi di recidiva.

— «Son tali cialtroni, egli dicea, che benefizio non giova a vincerli. Poi, quand’anche volessi condurli via meco, nol potrei se non tenendoli in ceppi per consegnarli siccome malfattori al tribunale della prima colonia inglese ove ne occorrerebbe approdare.»

Io vedea quanto fosse crucciosa questa idea al capitano, onde gli dissi:

— «Se lo giudicaste opportuno, cercherei io d’indurre costoro a chiedervi come una grazia la permissione di rimanere nell’isola.

— Gliela concederei di tutto cuore, rispose il capitano.

— Bene, manderò a chiamarli e parlerò loro in vostro nome.»

Comandai dunque a Venerdì e ai due ostaggi posti ora in libertà (poichè i loro colleghi aveano mantenuta la loro promessa) di andare alla caverna e, trattine fuori i due prigionieri, condurli legati com’erano alla mia casa di villeggiatura, ove gli avrebbero custoditi finch’io fossi giunto per decidere del loro destino.

Comparvi di fatto dopo qualche tempo, vestito de’ miei nuovi abiti e salutato di bel nuovo col titolo di governatore. Era meco il capitano, e tutti essendo convenuti, mostrai a costoro come fossi pienamente informato della ribalda loro condotta col capitano, del modo ond’erano fuggiti sul vascello rapitogli, e degli altri ladronecci e piraterie cui si stavano apparecchiando, se la Providenza non gli avesse