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278 | robinson crusoe |
quantunque sapesse regolare assai bene un canotto col remo, non conosceva nulla di ciò che riguardava timone o vela; ed anzi rimase stupido quando vide me che faceva voltare la scialuppa col soccorso del timone e la spalla di castrato gonfiarsi e moversi a seconda delle variazioni del nostro veleggiare. Nondimeno con un poco di pratica lo ridussi ad addimesticarvisi sì che divenne un esperto uomo di mare, salvo il sapersi valere della bussola: su l’uso della quale ben poche cose potei far entrare nella sua testa. Pure, siccome vi erano poche nuvole in volta, e rare volte o quasi mai il cielo si copriva di nebbie in quelle parti, il bisogno della bussola non era grande, perchè si lasciavano sempre vedere le stelle in tutta la notte, e la spiaggia per tutto il giorno, eccetto nella stagione delle piogge, durante la quale niuno si curava d’andare attorno nè per terra nè per mare.
Cominciava ora il ventesimo settimo anno della mia relegazione, se bene, per dir vero, i tre ultimi da che aveva questa buona creatura con me, dovrebbero levarsi fuori del conto, perchè grazie a Venerdì il mio soggiorno su queste spiagge era divenuto tutt’altro. Celebrai l’anniversario del giorno in cui v’arrivai con gli stessi affetti di gratitudine alla divina misericordia che le altre volte; ma le cagioni di tale mia gratitudine erano molto ora accresciute, poichè aveva questi nuovi testimoni presenti della cura che la providenza avea preso di me, oltre alla speranza che mi confortava di una imminente indubitabile liberazione; che questa idea mi si era suggellata con tanta forza nella mente, ch’io tenea per fermo di non rimanere un altr’anno in quest’isola. Ciò non ostante non trascurai il solito governo delle mie cose domestiche; non il lavoro della terra, non le piantagioni, non il munirla di siepi, non la vendemmia; feci in somma tutte le cose mie, siccome negli anni addietro.
Arrivata intanto la stagione piovosa, mi trattenni in casa più dell’usato. Ormeggiammo con quanta sicurezza potemmo la nostra nuova fregata, traendola in quella picciola baia donde, come ho già narrato, sbarcai le mie zattere nel tornare addietro dal vascello naufragato. Rimurchiatala su la spiaggia col soccorso dell’alta marea, ordinai al mio Venerdì di scavare una piccola darsena, ampia abbastanza per contenerla, e inclinata quanto era d’uopo per tornarla a mettere in mare; calata la marea, la riparammo con un buon argine per tenerne fuori l’acqua e mantenerla asciutta, quando il grosso fiotto