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robinson crusoe | 249 |
che è piuttosto un gialliccio brutto e schifoso, e che suol essere proprio de’ nativi del Brasile e della Virginia e d’altri popoli dell’America, ma una specie di lucente color d’oliva carico, che aveva in sè stesso non so qual cosa d’aggradevole che non sarebbe sì facile il descrivere. Rotondo e pienotto il volto; naso piccolo, nè schiacciato siccome quello de’ Negri; bocca ben fatta, delicate labbra, bei denti ben ordinati e bianchi come l’avorio.
Venerdì.
oichè egli ebbe sonnecchiato più che dormito per una mezz’ora, abbandonò il suo pagliericcio per venirmi a cercare fuor della caverna; perchè io era andato a mungere le capre che, come sa il leggitore, teneva in un chiuso a poca distanza di lì. Scopertomi appena, mi si fece incontro, tornò a gettarsi per terra dinanzi a me, rinnovando i suoi grotteschi gesti, e facendone d’ogni fatta per assicurarmi in tutti i possibili modi della sua gratitudine. Tra l’altre cose stese la faccia per terra rasente un de’ miei piedi e, come avea fatto prima, si pose l’altro mio piede sopra la testa, studiandosi a darmi tutte le immaginabili dimostrazioni di suggezione, servitù e sommessione, e a farmi capire che avrebbe voluto servirmi per tutta l’intera sua vita. In molte cose io lo intesi, nè trascurai dal canto mio alcun modo perchè comprendesse come fossi contento dell’acquisto che avea fatto in lui.
In poco tempo cominciai a parlare con esso e ad insegnargli a parlare con me, e per prima cosa gli lasciai conoscere che il suo nome sarebbe Venerdì, poichè correndo un venerdì quando gli salvai la vita, volli che il suo nome proprio ne fosse il ricordo. Gl’insegnai pure a dire padrone, gli dichiarai il nome con cui mi chiamava io;