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248 | robinson crusoe |
cosa, ed io alla meglio gli feci capire che gliene dava la permissione.
Quando gli fu vicino rimase com’uomo sbalordito guardando il cadavere, voltandolo prima su un fianco, indi sull’altro, contemplando la ferita che la palla aveva fatto, che sembra lo avesse colpito esattamente nel petto, onde non si vide al di fuori gran copia di sangue, perchè diffuso tutto nell’interno. Raccolti l’arco e le frecce dell’ucciso, tornossene addietro. Non credendo io cosa opportuna il rimaner più in quel luogo, gli feci segno di seguitarmi non senza studiarmi di dargli a comprendere, sempre a cenni, come gli altri selvaggi potessero venire dietro a quelli che erano morti.
Entrò tanto nella mia osservazione, che m’indicò la sua idea di seppellire que’ cadaveri nella sabbia, affinchè non fossero veduti dal rimanente della masnada, idea che approvai. Postosi all’opera, in men che io nol dico, avea scavata nella sabbia una buca ampia abbastanza per sotterrare il primo de’ due morti, indi ve lo trasse dentro, datosi ogni cura di ricoprirlo; lo stesso fece con l’altro cadavere, nè credo che tutta questa operazione durasse più d’un quarto d’ora.
Richiamatolo allora, lo condussi, non già alla mia fortezza, ma a dirittura alla mia caverna situata all’altro lato dell’isola, così non lasciai verificare quella parte del mio sogno che gli assegnava per ricovero il mio boschetto. Quivi gli diedi, perchè si cibasse, e pane ed un grappolo d’uva ed acqua da bere, di cui avea grande necessità pel molto correre che avea fatto.
Ristoratolo in tal guisa, gli accennai che andasse a riposarsi, mostrandogli in un luogo della caverna uno strato di paglia di riso con sopra una coperta: letto su cui più d’una volta era giaciuto io medesimo; così quella povera creatura coricatasi cercò di prendere un poco di sonno.
Egli era un bel pezzo di giovinotto, gentile d’aspetto, perfettamente ben complesso, di membratura gagliarda e regolare, non troppo tarchiato, alto e di belle proporzioni, dell’età, ai miei conti, di ventisei anni all’incirca. Avea tutte quelle qualità che fanno una buona fisonomia, non feroce o torva, pur virile sembianza e dotata ad un tempo di tutta la grazia e piacevolezza di una faccia europea, massimamente quando ridea. Lunga e nera erane la capellatura, non crespa a guisa di lana; spaziosa ed alta la fronte; vivacissima e scintillante l’acutezza delle sue pupille. Il colore della sua carnagione non era affatto nero, ma bronzino, non per altro di quel bronzino