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robinson crusoe | 17 |
Soggiorno a Yarmouth.
randissima fortuna sarebbe stata per me, se avessi avuto il giudizio di appigliarmi al secondo di tali espedienti e di tornarmene a casa: e certo it padre mio, emblema della parabola del nostro Salvatore, avrebbe anch’egli fatto scannare un grasso vitello al mio arrivo; perchè il pover’uomo avendo udito come la nave entro cui mi era partito, fosse naufragata dinanzi alle coste di Yarmouth, ei ci volle assai per essere sicuro ch’io non fossi rimasto annegato.
Ma il mio cattivo destino mi trascinava con una pertinacia cui nulla poteva resistere; e benchè parecchie volte sentissi forti richiami fattimi dalla mia ragione e dalle più chete mie considerazioni, non ebbi forza di arrendermi a queste voci. Io non so come chiamare (nè sosterrò che sia questo un preponderante misterioso decreto) ciò che ne spinge ad essere gli stromenti della propria nostra distruzione, ancorchè essa ne sia manifesta, e vi ci precipitiamo entro ad occhi aperti. Certamente null’altro, che qualche cosa di simile ad un tale decreto, qualche cosa di connesso ad inevitabile sciagura, cui mi era impossibile il sottrarmi, può avermi tratto ad ostinarmi contro ai freddi ragionamenti e alle persuasioni dei miei più raccolti pensieri, e contro a due lezioni tanto potenti, siccome quelle che mi occorsero nel primo mio cimento.
Il mio collega, quegli che dianzi avea tanto contribuito a confermarmi ne’ miei tristi propositi, figlio, come dissi, del capitano, si mostrava anche men coraggioso di me, quando gli parlai la prima volta da che fummo a Yarmouth, cioè passati due o tre giorni, perchè nella città eravamo stati distribuiti in separati quartieri. La prima volta dunque che mi vide, parea d’un fare tutto diverso, e aveva