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robinson crusoe | 243 |
Fine della mia solitudine.
ermato così l’animo, mi posi in agguato il più sovente che fummi possibile, tanto che da vero cominciava ad esserne infinitamente annoiato; perchè era più d’un anno e mezzo ch’io facea questa vita, e che mi trasportava quasi ogni giorno e al lato occidentale dell’isola e a quello tra mezzogiorno e ponente, per vedere se comparivano scialuppe, senza che una ne capitasse. Ciò mi sconfortava assai, e cominciava a disturbarmi grandemente, benchè in questo caso io non potessi dire, come avrei potuto dirlo qualche tempo prima, che tale sconcio rintuzzava l’ardore del mio desiderio; anzi maggiori indugi s’interponeano, più fortemente io ne anelava il conseguimento. In una parola, non fui mai per l’addietro così sollecito di non vedere i selvaggi e di schivare ogni occasione di essere veduto da loro, come io ora desiderava ansiosamente di trovarmi loro addosso. Anzi in mia fantasia credeva essere tanta in me l’abilità necessaria ad addimesticare un selvaggio, anche i due, i tre, se fossi riuscito ad averli, che me li avrei fatti schiavi, gli avrei condotti a far quanto avessi lor comandato e tolto loro ogni potere di arrecarmi mai alcun male. Era lungo tempo da che io mi beava di tale lontana speranza, ma nulla occorreva che l’avvicinasse; tutte le mie macchinazioni, i miei disegni andavano a finire in nulla, perchè per lungo tempo i selvaggi non s’accostarono a me.
Dopo un anno e mezzo che m’era intertenuto in questi divisamenti, andati tutti in fumo per mancanza sempre di un’occasione atta a mandarli ad effetto, fui sorpreso una mattina di buon’ora al vedere non meno di cinque scialuppe tutte insieme, rasente la spiaggia del mio lato d’isola; la loro ciurma che vi stava entro, era già tutta sbarcata e lontana dalla mia vista. Il numero di questi ospiti sconcertava