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Non era passato un quarto d’ora da che eravamo fuori della nostra nave, quando la vedemmo affondarsi, e allora intesi per la prima volta che cosa volesse dire andare per occhio. Devo confessare che mi era poco accorto allorchè i marinai mi dissero che le sovrastava questo pericolo, perchè era sì fuor di me, che quando si dovette abbandonare la nave, fui gettato nella barca più di quanto potessi dire d’esserci entrato. Il mio cuore era come morto, parte per l’atterrimento del presente, parte per la paura di quanto mi stava tuttavia d’innanzi agli occhi.

Eravamo in tale stato, ed i navicellai non davano tregua al remo per avvicinare la barca alla spiaggia. Ogni qualvolta la barca stessa veniva sollevata dalle onde, potevamo vedere e la terra e molta gente affollata per le contrade, pronta ad aiutarci appena saremmo stati vicini; ma camminavamo ben lentamente verso la spiaggia, nè potemmo raggiugnerla se non quando, passato il faro di Winterton, essa s’internava a ponente nella dirittura di Cromer, la qual giacitura ruppe alcun poco la violenza del vento. Qui, non senza molta difficoltà certamente, prendemmo terra sani e salvi. Andati poi con le nostre gambe fino a Yarmouth, quivi fummo accolti con una umanità corrispondente alla nostra grande sciagura, sia dalle magistrature della città che ne fecero assegnare buoni alloggiamenti, sia dai privati negozianti e proprietari di navi. Quivi pure ci fu somministrato bastante danaro per tirare sino a Londra, o tornare addietro ad Hull come ne fosse mcglio piaciuto.