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236 | robinson crusoe |
Desiderio sempre più ardente di fuggire dall’isola e sogno.
ominciai ora a riposarmi, a vivere secondo il mio antico costume, a prendermi cura de’ miei domestici affari; e, a dir vero, per un certo tempo me la passai bene abbastanza, se non che era divenuto assai più vigilante di prima, mi teneva in guardia più frequentemente, nè andava più tanto attorno; e se qualche volta mi diportai con maggiore libertà, il feci sempre verso la parte orientale dell’isola, ove io era ben sicuro che i selvaggi non capiterebbero mai ed ove io potea trasferirmi senza il bisogno di tante cautele o di tanto carico d’armi e di munizioni, quanto ne portava sempre meco quando mi volgeva ad altre parti.
In tali condizioni io vissi più di due altri anni, ma in tutto questo tempo la mia sgraziata testa, che ho sempre scoperto essere destinata a fare la miseria del resto del mio corpo, fu ingombra e piena di disegni e macchinamenti su le probabilità che mai mi potessero occorrere di fuggir da quest’isola. Talvolta era lì per imprendere un secondo viaggio al vascello naufragato, ancorché la mia ragione mi dicesse nulla esser rimasto colà che bilanciasse i rischi di simile gita. E quando meditava una navigazione e quando un’altra, e credo da vero che se avessi avuta la scialuppa, entro cui partii da Salè, mi sarei commesso al mare: per andar dove, non lo sapeva.
Io sono stato in tutti i casi della mia vita una grande lezione per coloro che si sentono percossi da quella malattia generale della specie umana, malattia donde, a quanto so io, procede una metà delle loro sventure: quella cioè di non esser paghi della condizione ove Dio e la natura li collocò. Dappoichè, per non dir della follia che mi fece dimenticare i buoni consigli di mio padre, e che fu quasi il mio peccato originale, sempre di tal fatta sono stati gli errori che