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robinson crusoe | 187 |
circondato d’una siepe rimondata, serbata costantemente alla sua solita altezza e provveduta sempre internamente della sua scala. Così pure gli alberi all’intorno, che su le prime erano meri stecconi, li vedeva ora cresciuti a notabile grandezza e saldezza; io li potava opportunamente affinchè venissero forti e rigogliosi, ed estendendosi spargessero sempre, come la spargeano di fatto, un’aggradevole ombra. In mezzo a questo frascato io avea la mia tenda stabile: un pezzo di vela stesa sopra pali innalzati ivi a tal uopo, ed ai quali io non lasciava mai mancare riparazioni o rinnovellamenti. Sotto di essa io m’avea fatto il mio letto con pelli di quadrupedi uccisi o d’altre soffici cose; su questo una coltre assai decente per un uomo di mare, da me sottratta al naufragio, ed una grande casacca per coprirmi; quivi era, quando io aveva occasione d’allontanarmi dalla mia stanza principale, la mia casa di villeggiatura. Aggiungansi a tutto ciò i parchi chiusi pe’ miei armenti, vale a dire per le mie capre; parchi ch’io avea muniti e difesi con un incredibile dispendio di fatiche. Perchè tanta fu la mia cura di conservarne fitta la siepe di cinta, perchè i miei armenti non ne saltassero fuori, ch’io l’avea resa più folta col piantar sottili pali nuovi tra i primi, e vicinissimi l’uno all’altro; sarebbesi detta una palizzata anzichè una siepe, ed a fatica avreste potuto introdurre una mano fra le commessure di essa; in somma quando questi nuovi pali furono cresciuti, il che avvenne nella seguente stagione delle piogge, questa siepe era forte al pari e da vero più di una muraglia.
Ciò varrà a provare che non rimasi in ozio, e che non perdonai a travagli per procurarmi quanto sembrommi necessario a trascorrere quivi men disagiata la mia vita. Nè certo aveva torto nel riguardare nella razza d’animali domestici, così allevatami a mia disposizione, un vivaio perenne di carne, latte, burro e cacio, che non mi sarebbe più mancato per tutto il tempo del mio soggiorno in quel luogo, quand’anche avessi dovuto rimanerci altri quarant’anni. Così pure non mi ingannai nel credere che l’aver sempre questi animali al mio comando dipendeva affatto dal perfezionamento dello steccato, entro cui venivano custoditi e tenuti raccolti insieme. A tal perfezionamento arrivai sì bene, che quando i nuovi pali furono divenuti grossi, fui costretto a diminuire la spessezza della mia siepe schiantandone alcuni.
Quivi avea in oltre le mie vigne che mi assicuravano principalmente la mia provvigione d’uva appassita pel verno, alla cui preparazione mai