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robinson crusoe 159

Quinto anno; novelli arnesi, seconda piroga.



I

o era alla metà dell’indicato lavoro quando terminava il quarto anno della mia dimora in quest’isola, il cui giorno anniversario solennizzai con la stessa divozione e con maggiore conforto d’animo che per lo addietro; poichè col costante intenso studio da me dato alla parola di Dio e con l’aiuto della sua grazia guadagnai cognizioni ben diverse da quelle che aveva in principio. Or guardava nel vero loro aspetto le cose; considerava il mondo come oggetto remoto col quale non aveva affari di sorta alcuna, dal quale io non aveva nulla da aspettare nè per dir vero da desiderare; in una parola, non aveva che fare menomamente con esso, nè m’importava d’averne. Mi parea di guardarlo con quell’occhio, onde forse lo guarderemo tutti nella vita avvenire: come un luogo cioè ove era vissuto, e donde era partito, e poteva ben dire come il padre Abramo al ricco della Scrittura: «Fra me e te è stabilita un’immensa voragine.»

Primieramente io quivi era lontano da tutte le perversità della terra: non quivi le tentazioni della carne, non le seduzioni dell’occhio, non l’orgoglio della vita. Non aveva nulla da desiderare, perchè era in mia proprietà tutto ciò di cui poteva godere; io era padrone di una vasta signoria; e, se così mi piaceva, poteva intitolarmi re o imperatore di tutto il paese ond’era entrato in possesso; qui non aveva rivali, non competitori che mi disputassero la sovranità od il comando. Avrei potuto adunar grano da caricarne intere navi, ma non avrei saputo che farne; quindi mi limitai sempre a coltivare il campicello che credei bastante per supplire ai miei bisogni. Erano a mia disposizione quante testuggini avessi volute; ma d’una sola a quando a quando io poteva cibarmi; aveva quanto legname sarebbe bastato a mettere in mare un’armata navale, e grappoli d’uva quanti