Pagina:Avventure di Robinson Crusoe.djvu/175


robinson crusoe 145

Verso la fine di dicembre, tempo del secondo ricolto in quell’anno, condussi a termine la mietitura del mio grano.

Mi trovai intrigato per la mancanza di una falce o falciuola; pur me ne feci una alla meglio di una vecchia spaduccia salvata in mezzo ad altre armi dal naufragio del vascello. Ma siccome in sostanza poi si trattava del ricolto di un campo non grandissimo, la mia mietitura non mi diede grande difficoltà; la feci come potei, non tagliando via se non le spighe che mi portai a casa entro un grande canestro fabbricato da me e che sgranai a mano. In fin del conto trovai che il mio mezzo quarto di semenza m’avea dato due moggia di riso, e più di due e mezzo di orzo, sempre secondo un computo di congettura, perchè misure io non ne aveva.

Ciò non ostante mi fu questo un grande incoraggiamento, perchè prevedeva che coll’andar del tempo, Dio non m’avrebbe lasciato mancare il pane. Per altro mi rimaneva sempre un grand’impaccio, perchè io non sapeva in qual modo macinare o sia convertire in farina il mio grano, nè come rimondar questa farina, ove l’avessi ottenuta, e separarla della crusca; in oltre io non sapea come farne del pane, e ancorchè ciò fosse stato facile, mi mancava il modo di cuocerlo. Queste considerazioni aggiunte al mio desiderio d’ingrandire le mie provvigioni e di assicurarmi un costante vitto per l’avvenire, mi trassero nella risoluzione di lasciare intatto questo secondo ricolto e di serbarlo tutto per semenza alla prossima stagione; e d’impiegare intanto l’intero mio studio, le intere ore mie di lavoro alla grande impresa di provvedermi così di biade come di pane.

Potea ben dirsi allora ch’io lavorava per il mio pane. È alquanto maravigliosa al pensarci, e credo che pochi veramente ci abbiano pensato, la straordinaria quantità di cose necessarie a provvedere, a produrre, a custodire, a preparare, a fabbricare quest’unica cosa: il pane.

Io che mi vidi ridotto al mero stato di natura, io la capii con mio giornaliero scoraggiamento questa difficoltà, e la sentii di più in più a ciascun’ora sin da quando ebbi raccolto quel primo pugno di grano che mi surse, come dissi, fuor d’ogni espettazione ed a mia grande sorpresa.

Primieramente io non aveva aratro per volger la terra; non una vanga per vangarla, se non quella ch’io m’avea fatta di legno come osservai precedentemente; ma questa serviva al mio lavoro come può