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possedimenti spagnuoli e il Brasile, i cui abitanti sono la peggior razza di tutti i selvaggi; perchè, cannibali o divoratori d’uomini, certamente non si stanno dall’uccidere e dal mangiare gl’infelici naviganti che cadono nelle loro mani.

Nel far queste considerazioni io procedeva innanzi a piccole giornate, e trovai come questa parte d’isola ov’era allora fosse più dilettevole di lungo a man che quella della mia residenza: campi aperti, o savanne, ricchi di fiori, di praterie e di bellissime piante. Veduta quivi una grande quantità di pappagalli, m’invogliai di prenderne uno per addimesticarlo se mi fosse stato possibile, ed insegnargli a parlarmi. Mi riuscì di fatto, non per altro senza qualche fatica, di farne con un bastone stramazzare un novello, che fui presto a cogliere, e mi portai a casa; ma ci vollero alcuni anni prima che potessi farlo parlare; pur finalmente giunsi a tanto che profferì famigliarmente il mio nome. L’accidente occorsomi al proposito di esso, benchè di lieve conto, non sarà privo di vezzo quando verrà il momento di raccontarlo.

Di questo mio viaggio fui soddisfatto oltre ogni dire. Trovai nelle terre basse e volpi e lepri, almeno così le giudicai; tanto diverse per altro da tutte le solite in cui m’era altrove abbattuto, che, se bene ne uccidessi molte, non seppi risolvermi ad assaggiarne. D’altra parte io non avea bisogno di avventurarmi a prove, perchè non mancava di nutrimento e per vero dire eccellente, soprattutto di capre, colombi e tartarughe. Aggiunti a ciò i miei grappoli d’uva, il mercato di Leadenhall non poteva somministrare una tavola meglio imbandita della mia, avuto massimamente rispetto al numero dei commensali; laonde ancorchè la mia posizione fosse deplorabile anzichè no, io aveva sempre grande motivo di ringraziare la Providenza, perchè lontano dall’esser ridotto ad estrema penuria, nuotava nell’abbondanza, nè mi mancavano nemmeno le delicatezze del vitto.

In tutto questo viaggio il mio cammino non oltrepassava mai le due miglia in una stessa dirittura; ma prendeva tanti giri, or procedendo più innanzi, or tornando addietro per vedere quali scoperte vi fossero a farsi, che arrivava sempre sufficientemente stanco al luogo ove io mi prefiggeva di passare la notte. Durante questa o riposava sopra un albero o mi faceva all’intorno uno steccato di pali piantati in terra; talvolta ancora tra due filari di questi pali alzati