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84 autobiografia

il mio zio Ernesto il quale svizzero nell’osservanza della sua parola, disse che non avendo ricevuti disgusti da me non aveva ragione di darmene. Al prozìo canonico Carlo già vecchio di 83 anni, non partecipai queste amarezze domestiche per non affligerlo, e perchè ero certo che la mia prima parola lo avrebbe sempre persuaso in mio favore.

Intanto fra gli Antici e me si era parlato di tutto fuorchè della Dote, ed io credevo che mi darebbero almeno nove mila scudi, quanti, a nome del cardinale Antici, si era detto di darmene allorchè volevasi che io sposassi Amalia; ma la cosa andò diversamente. Il padre sentendo questa mia supposizione restò sorpreso dichiarando essere contento se il cardinale suo fratello, dasse di più, ma avere egli sempre creduto che domandandogli io la Figlia dovessi prenderla con la dote assegnatagli di scudi seimila che era già nota, e che sola poteva darle. Egli aveva ragione. Mi rivolsi dunque al Cardinale, ma questo, con un diluvio di parole cordiali, mi rimandò al Padre, dicendo non essere incombenza sua il dotarne le figlie. Egli pure aveva ragione. Il balordo ero stato io promettendo la mano senza parlare di quattrini, e ne pagai la penitenza, ricevendo solamente seimila scudi parte in cedole, parte in moneta erosa, senza uno scudo fino. Quelli seimille scudi furono equivalenti appena a tremille scudi veri di argento.

Intanto accostandosi il tempo delle nozze, e persistendo la opposizione dei miei congiunti, la mia buona Madre prese un giorno a pregarmi di abbandonarne il pensiero, e lo fece con tanto calore che mi si inginocchiò avanti di me. Non so se quella sua tanta insistenza era giusta, nè come avrei dovuto cavarmi da quell’intrigo, ma so che dovevo morire piuttosto che disgustare, e disubbidire mia madre. Io mi misi in ginocchio avanti di Lei, e gli baciai la mano, e restai fermo nel mio proponimento. Sciagurato!