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dati, e siccome marciava lentamente con qualche intervallo, il passaggio degli uomini, dei cavalli, dei cannoni, e dei carri durò più di due ore. Non avendo mai veduti tanti soldati assieme credevamo fossero ventimille e agghiacciavamo di spavento. Gli ufficiali alloggiarono nelle case, e i soldati nella strada incominciando dalla piazza maggiore fino alla chiesa suburbana del Beato Placido dove fecero campo. Fortunatamente era un tempo da estate. Dato un po’ di sesto a quella gente andai a visitare il generale Lannes, e questo signore poi Duca e Maresciallo del grande impero, per riscaldarsi bene le natiche le aveva arrampicate sopra lo stipite del camino e teneva le gambe larghe piantate sopra due sedie. Mi ricevè in quella positura. Trattenendomi con lui un uffiziale venne a dirgli in francese che bisognava un po’ di tela per accomodare un cassone. Il Generale voltosi a me, subito, disse, duemila braccia di tela. Rispondendogli io che era impossibile adunarne in un momento tanta quantità, cominciò a gridare come un indemoniato, e disse che i Dragoni con le loro sciabbole la fariano trovare. Poi voltosi alli suoi uffiziali si mise a ridere della mia paura. Io me ne accorsi, e andando a provedere la tela, quella faccenda restò accomodata con quattro braccia. Sia detto a gloria della sua memoria, quel Generale, Duca e Maresciallo era un facchino.

Tutti i calcoli e tutti i riscontri mi assicuravano che per la matina sarebbero in pronto due mila razioni di pane e non più, e immaginavo che la truppa mancante di pane sarebbe prorotta agli ultimi eccessi. Pensai di fuggire, e se adesso mi trovassi in quelle circostanze credo che lo farei, ma allora intesi di sagrificarmi deliberatamente al bene della patria. Passai la notte nel palazzo del Comune e aspettavo il nuovo sole come l’ultimo della vita, quando sul fare del giorno il mio ministro venne tutto lieto ad annunziarmi che