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di resistenza la città nostra ne andasse a fiamme e fuoco. Trovatolo dunque in casa Massucci, dove mangiava un piccioncino allesso, gli rappresentai le nostre circostanze, e lo pregai di provedere alla sua salvezza e alla nostra, andandosene in pace con la sua truppa. Quel buon galantuomo fu senza meno contentissimo di quell’invito e non vedeva l’ora di seguire il suo generale, ma per assicurarsi meglio domandò che io mettessi in carta, come la città si opponeva alla permanenza della truppa e minacciava di sollevarsele contro se non partiva. Io gli risposi come meritava, che noi eravamo deboli e perciò timorosi, ma non ribelli; essere impossibile la difesa di una città lunga due miglia, larga due tirate di sasso, aperta tutta, sproveduta di tutto, non preparata al alcun avvenimento, ed essere certo che all’accostarsi dell’inimico le truppe pontificie sariano fuggite come per tutto, e noi sagrificati; desiderarsi perciò da noi che quelle truppe ritirandosi in tempo salvassero se stesse, e lasciassero noi esposti a sorte meno trista, ma questi essere desiderii, preghiere e suggerimenti di saggi, non voci e minaccie di rivoltosi. Il buon capitano restò persuaso, e preso un foglio che io scrissi e firmai in quelli termini se ne andò con Dio.

Con questo però le angustie di quella notte non finirono, perchè il colonnello Ancajani arrivato in quel tempo, avendo sonno volle andare a dormire in tutti i conti, e per sua quiete fece restare una mano di soldati in Porta Marina, e spinse alquante scoperte sulla strada di Ancona. Veramente questo riposo del colonnello ci garantiva la lontananza dell’inimico, ma nulladimeno si vegliò tutta la notte incerti sul vero stato delle cose, e timorosi che il popolo invelenito contro i Francesi erompesse in qualche tumulto prendendo coraggio dalla presenza della truppa. Nè quando il colonnello si levò la matina dei 9 la partenza