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del conte monaldo leopardi 63

disciplina, e senza esperienza alcuna del guerreggiare. Bravo e onorato militare avrà parlato chiaro al Governo, e vedendo che i suoi consigli erano male accolti, o giungevano troppo tardi si sarà accomodato al tempo, aspettando lo sviluppo fortuito degli avvenimenti. Probabilmente si sperava che gli Austriaci dassero in Lombardia bastantemente da fare ai Francesi, sicchè questi non si potessero volgere alle terre della Chiesa. Comunque sia il generale Colli passò un paio di mesi a Roma in feste onori, e conviti, e le cose della guerra restarono come prima. Tutte le truppe pontificie ascendevano a circa diecimila uomini, e un quarto di questa gente si era adunata a poco a poco in Faenza. Imola perchè troppo vicina a Bologna erasi abbandonata, e la resistenza doveva farsi sul fiume che corre fra le due città suddette. Il barone Carlo Ancajani di Spoleto, il quale, in Baviera se non erro, aveva imparato a fare gli esercizii, comandava quell’armata di 2500 soldati con grado di colonnello. Un padre Altieri, frate di non so qual ordine, erudito nelle matematiche, stava là non so con qual grado, e con quali istruzioni, ma pareva che la somma delle cose dipendesse da lui in gran parte. Inaspettatamente si sentono gli inimici ingrossati a Bologna, e si conoscono determinati ad invadere si corre al flume, si mettono alcuni cannoni sul ponte, e si sta preparati alla difesa. Il giorno 2 di febrajo del 1797 alla matina, i Francesi attaccarono, forti di circa diecimille uomini. I cannoni del ponte spararono, e qualche Francese morì. Ben presto però l’inimico si accinse a guadare il fiume e vistosi dai papalini che i Francesi non temevano di bagnarsi i piedi, addio, si gridò nel campo, si salvi chi può, e tutti fuggirono per duecento miglia, nè si fermarono sino a Fuligno. Non esagero, ma racconto nudamente quei fatti che accaddero in tempo mio, e dei quali viddi alcuna parte. Un