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del conte monaldo leopardi 57

sti giovani saranno infelici tutta la vita, voi lo avrete voluto trascurando questo avvertimento».

Non vedendo alcun effetto di questa lettera ne replicai un’altra che fu pure inefficace. Era già fatto il primo passo, la smania di sentirmi redento cresceva, e temevo che quelle lettere si sospettassero scritte da malevoli e perciò venissero trascurate. Ne scrissi dunque una terza, e inviluppandola in un foglio separato dalla lettera vi feci l’indirizzo di mio pugno, e la chiusi col mio sigillo. La cosa non ammetteva più dubbio, e la medicina operò. Eravamo arrivati al gennaro e si recò qui alla fiera il signor Giovanni Landi onorato mercante di Bologna. Venne a trovarmi, e voglio scrivere il dialogo che ebbe luogo fra noi.

Landi. – Signor conte mio riveritissimo padrone, se ella me lo permette dovrei trattenerla di qualche cosa per commissione del marchese Camillo Zambeccari.

Io. – Caro Landi ella è padrone di parlarmi di tutto quello che vuole.

Landi. – Non vorrei che apprendesse il mio discorso per una temerità.

Io. – Mi meraviglio. Ella non è capace di offendere. Dica pure liberamente.

Landi. – Ma desidero che mi prometta una risposta sincera.

Io. – Di sincerità ne troverà forse troppa. Non so dove la bugia stia di casa.

Landi. – Dunque, signor conte, ella è contenta o scontenta di ammogliarsi con la figlia del marchese Camillo?

Io. – Oh Landi mio, mi scusi, questa domanda è fuor di proposito.

Landi. – Perchè?