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del conte monaldo leopardi 45

le gioie antiche di casa, ed aggiungendovi quattro o cinque mila scudi per i quali il marchese Zambeccari firmò una cambiale. Quanto e da quanti si mangiasse sopra di me in quell’incontro io non lo so, ma credo che venissi bastonato spietatamente. In queste ordinazioni e spese avevo già forse impegnata la metà della dote, e un’anima pietosa non si moveva a compassione di me, e non mi dava una mano per trarmi dal precipizio che io stesso scavavo sotto i piedi miei.

Stetti pochi giorni in Bologna perchè quantunque accarezzato, e onorato assai la mia situazione era tormentosa, e la necessità di sopprimere i miei sentimenti, e di simulare quegli affetti che non sentivo la rendeva insopportabile. Presi dunque il pretesto degli affari, e partii. Passando per Pesaro la mia buona nonna, che aveva molto spirito, dopo di avermi scandagliato un poco mi disse che il mio sarebbe un matrimonio en chevalier, ed io non volli confessarlo, ma sentii che purtroppo aveva ragione. Allora rividi la contessa Zongo e mi parve che avesse un po’ di dispetto vedendomi sposo; io ne provai un certo gusto alquanto maligno. Non la ho veduta più. Fratanto la mia sposa aveva scritto a mia Madre e ai miei zii, e il Padre e la Madre di lei avevano pure scritte lettere cortesissime, sicchè tornando a casa trovai tutti i miei congiunti innamorati di questo matrimonio. Fui ben lontano dal procurare che cambiassero queste disposizioni dell’animo loro perchè essendo determinato di buona fede a celebrarlo con qualunque mio sacrificio mi piaceva di vederli contenti e disposti bene a favore di quella che doveva essermi moglie, e che io desideravo di amare. Datomi dunque a preparare quanto occorreva per le nozze, empii la casa di artieri, comprai altri cavalli, fabricai da fondo la scuderia e la rimessa demolendo le antiche, e feci altre