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ritare il nome di mancatore. Vissi due giorni in queste angustie, e finalmente fra il pianto e la convulsione le manifestai al conte Gatti che poteva e doveva riparare il male fatto in gran parte dalla sua poca accortezza. Egli però accolse la mia dichiarazione come una bestemmia, e apertomi l’inferno sotto i piedi, mi disse che il ritirarsi era un’azione infame, che bisognava fuggire da Bologna, e perdere sempre l’essere e il concetto di galantuomo; mi soggiunse che queste erano tentazioni del diavolo, sperimentate da lui medesimo nel primo suo matrimonio che poi riuscì fortunato, e tanto mi predicò, tanto mi lusingò, tanto mi sgomentò che io tacqui rassegnato a trangugiare il calice amaro preparato dalla inesperienza mia ed altrui per avvelenarmi tutta la vita.

Ben presto si stipulò l’apoca nuziale e la scrisse il notaro Aldini assistendovi il fratello suo avvocato Aldini, che fu poi segretario di Stato di Napoleone per il regno d’Italia, e che allora tornava da Parigi statovi ambasciatore della città di Bologna invasa dalle truppe francesi nel mese di giugno precedente. Ricordo che in quel giorno le dame bolognesi risero sentendolo raccontare come in Parigi le signore portavano la perucca, che poi dopo pochi mesi abbellì o deformò il capo di tutte le nostre donne. Resa dunque inevitabile l’effettuazione del matrimonio da aver luogo in febraio, si pensò a farne i preparativi, che guidati dalla mia inesperienza, e dalla grandiosità abituale delle idee furono altrettanti spropositi. Commisi una quantità di apparati e di mobili dispendiosi per ammobigliare un appartamento a nuovo splendidamente; commisi non so quante carrozze, ordinai un vestiario sontuoso per la sposa, e livree nobilissime per la servitù e fatto venire espressamente da Modena l’ebreo Formigine mercante grosso di gioie, ne comprai una quantità considerevole, dando indietro tutte