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sari, ma disdire all’uomo il caricarsi di ornamenti vani come si fa coi cavalli. Viceversa queste buone qualità venivano bilanciate da un orgoglio smisurate che le troppe lodi datemi nella adolescenza avevano fomentato, e che mi rendeva ambizioso di superare tutti in tutto. Non ero già altiero e superbo volendo anzi nome e vanto di mansueto e popolare, perchè la superbia ripugnava alla mia ragione; perchè la natura mia che allora non conoscevo era mite, perchè i miei congiunti mi avevano dato sempre esempio di mansuetudine, e infine per avere sentito da essi che la famiglia nostra fu sempre popolare, e amica del popolo e amata da lui. Queste idee e quelli esempi mi furono di utile grande perchè fino d’allora ne contrassi abitudine di trattare con tutti amichevolmente, di prevenire gli eguali col saluto e di renderlo agli inferiori generosamente, di mai arrogarmi la preminenza cedendo anzi il posto e la mano a chiunque, e di fare che qualunque parlasse con me ne rimanesse contento. Con questi modi che mi erano o mi si resero naturali ottenni appunto la benevolenza costante del popolo e il rispetto suo inalterabile, tantochè in varie occasioni potei dirigerlo e dominarlo con vantaggio suo e del paese. Negli anni della rivoluzione, quando i legami dell’ordine sociale erano tutti spezzati, e la plebe e i poveri sedotti dal nome di libertà e di uguaglianza insorgevano contro i nobili e contro i ricchi, io ragazzo tuttora di vent’anni, mi cacciavo in mezzo al popolo sollevato, e gli levavo le armi, e gli imponevo di ritirarsi tranquillo ai suoi focolari. Mai ebbi dal popolo un insulto, o un disprezzo, ed oggi in ogni migliaio di cittadini ne saranno due che non mi amano per invidia o per altro riguardo privato, ma se alzassi la voce tutti i recanatesi verrebbero dietro di me, e seguirebbero il mio volere ciecamente. Nulladimeno ho detto che nell’esordio della mia gioventù ero