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del conte monaldo leopardi 29

mo, perdonate la mia inobbedienza e compatite i trascorsi di quella età. Se voi foste vissuto fino a questo giorno, che pure lo potevate in vecchiezza non rara, io vi avrei amato, rispettato, temuto e obbedito sicuramente come vi obbedii nel primo matino della vita ma la vostra morte immatura mi lasciò come polledro senza freno, e come barca senza nocchiero. Errai per imbecillità e per orgoglio, ma l’offesa della vostra potestà paterna è stata vendicata perchè di quell’errore ho portata pena gravissima, e la porterò finchè non sarò congiunto con voi nel sepolcro.

Ottenutosi dunque il rescritto sovrano che derogava alla volontà di mio padre io nel giorno 4 di settembre del 1794 assunsi la amministrazione del patrimonio, e il regime assoluto della Famiglia, avendo diciotto anni, e diciannove giorni di età. Ho avuti parecchi figli ed ho avvicinati e scandagliati molti giovani, ma ho da vederne ancora uno solo al quale nella età di diciotto anni si potesse affidare il maneggio di un solo affare importante. Pertanto o io ero allora la fenice fra tutti gli uomini, o lo fui dopo fermandomi nel precipizio, e riparando alla meglio li spropositi innumerabili che dovevo fare, e feci pur troppo, trovandomi in quella età padrone assoluto delle mie sostanze, e di me. Bensì per esserlo interamente mi mancava un passo, e rimasi di gelo quando mia Madre mi annunziò che con tutto il rescritto dovevo uscire in compagnia del pedante, non essendo bene che un giovane uscisse solo in tanto poca età. Questa intimazione fu un colpo di fulmine perchè aspettavo la mia libertà impazientissimamente, e non potevo persuadermi che un capo di casa dovesse andare a spasso col prete. Non so se tutti i giovani sentano quella voglia con tanta ardenza, ma so che oggi Padre già di duodeci figli fra morti, e vivi, magistrato nel mio paese, consumato negli affari e correndo nell’anno quarantottesimo