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del conte monaldo leopardi 27


XIX.

Deve rispettarsi la volontà dei defunti.

Il mio prozìo canonico Carlo aveva compiti ottanta anni, e tanta età gli rendeva grave il peso di tutta la amministrazione domestica. Inoltre egli era generosissimo del suo denaro, ma procurando di economizzare il mio saggiamente, alcuni tratti di questa economia non piacevano, e venivano malamente attribuiti ad imbecillità senile. Mia madre e li miei zii non ambivano di ingerirsi nella gestione patrimoniale, ed io smaniavo di diventare effettivamente il padrone di casa. Tutto dunque congiurava a farmi ottenere il mio intento per disgrazia mia, e non sorse una mano generosa e saggia che allontanasse dalle mie labbra quel calice che ingojato come nettare soavissimo, doveva amareggiarmi tutta la vita. Coll’accordo dunque di tutta la famiglia si supplicò il Papa di derogare alla disposizione paterna autorizzandomi ad amministrare il mio patrimonio nella sola età di diciotto anni, e si fecero panegirici dei miei talenti e della mia condotta, che per verità nè questa era cattiva nè mi mancavano quelli, ma mi mancavano il giudizio e l’esperienza che non si acquistano se non con l’età. Non ci era però bisogno di tanto essendo oramai triviale, almeno in questo Stato, che i vivi non rispettino e non osservino le disposizioni dei morti. Che qualche volta con ragioni preponderanti, e calcolate severamente si prescinda dagli ordini dei testatori sta bene, perchè anch’essi vivendo avrebbero cambiati gli ordini loro in vista di quelle ragioni, ma che il Principe supremo tenga bottega aperta di deroghe, e che con cinque scudi