Pagina:Autobiografia di Monaldo Leopardi.pdf/40

26 autobiografia

delle mie cose strappandole di mano a chi le amministrava per me. Al contrario, avevo tanto rispetto per mia Madre e per li miei congiunti che prima di scompiacerli sarei rimasto sottomesso alla podestà loro per tutta la vita; ma andavo contentandomi con quei pensieri, e poi contavo sommamente sulla loro condiscendenza. Questa era grandissima per verità, e ne risentivo ogni soddisfazione onesta, ma il danaro mi mancava sempre, e mi mancava oltre il giusto, perchè nella profusione di tutto, non avevo mai alla mia disposizione due paoli di contante. Questa mancanza sul confine della gioventù riusciva insopportabile estremamente e me ne redensi con ogni mezzo possibile. Al mio ottimo Prozio, amministratore del patrimonio, rubbai del mio o del suo non so, tutto quello che potei, e credo che in più volte e in più anni, io e mio fratello con cui andavo di accordo perfettamente, gli avremo rubbati circa scudi trecento. Agli altri congiunti non ho toccato un soldo, e facendolo avrei stimato di rendermi infame: con quello però non avevo scrupolo, o perchè supponevo mio il denaro presogli, come credo accadesse ordinariamente, o perchè la sua cordialità grandissima e sviscerata mi attribuiva quel coraggio. Venti scudi mi imprestò Tomassa Caporalini antica donna di servizio che mi aveva custodito bambino e mi amava pazzamente, e quaranta scudi mi imprestò Luigi Tiberi decano fra i servitori di casa. Con questi ajuti, che dividevo sempre cordialmente con mio fratello, pervenni alla gioventù della quale mi accingo a trattare, lasciando un po’ di carta bianca per quelle cose che posso avere dimenticate riferibili ad epoche precedenti.