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cati. Nulladimeno se egli fu, come credo, l’autore di quella legge che abolì le Annone, e revocò il preteso diritto del popolo di essere mantenuto dalle Comuni, egli ha pareggiato le partite, e tutti i debiti che egli ha contratti contro la prosperità economica dello Stato rimangono saldati. Il publico doveva mantenere il popolo non solamente di pane, ma di vino, di olio e di carni, e questo abuso era la desolazione delle città, e il terrore dei magistrati; e le immense somme che si ingojavano dalle annone ad altro non servivano che ad alimentare il monopolio, a rendere audace e infingarda la plebe, e a corrompere il costume in molti modi. Una sola parola pronunciata saggiamente dal Sovrano bastò a distruggere questo disordine per sempre. Alcuni esclamarono contro questa providenza della quale non conoscevano il valore; altri tenevano per certo che il popolo si sarebbe sollevato nella abolizione di un uso che appariva il garante della sua sussistenza, ma, perchè alle nuove raccolte naturalmente il prezzo dei generi scemò alquanto, e perchè il Governo usò un po’ di fermezza, tutto procedè con tranquillità somma, e delle annone non si è parlato più. Beati noi e beato il cardinale Consalvi se quella legge fosse stata l’unica operazione del suo ministero.

LXXVI.

Sicurtà.

Sento un po’ di vergogna nel ricordare un fatto accadutomi in quest’anno, ma non voglio tacerlo acciochè i figli miei, o chiunque altro leggerà queste memorie apprenda a non obbligare mai se stesso per altri, poichè chiunque fa sicurtà vende la propria persona, la sua robba e la sua libertà senza ritirarne il prezzo, e si espone ad una serie innume-