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fasi però del monetario, le guerre esterne, e le armate dimoranti fra noi, fecero crescere il prezzo dei generi notabilmente e per una mal’intesa pietà tollerata e forse voluta dal Governo, il prezzo del pane per i poveri non venne cresciuto. Vendendosi dunque questo ad un saggio minore assai del valore commerciale, ben presto tutti si dichiararono poveri e corsero ai forni publici per godere di quel profitto. Le quote ordinarie non furono più sufficienti, e si accrebbero tanto che ingojarono l’intiero raccolto, sicchè i proprietarj studiarono tutte le malizie per nascondere le proprie derrate, e venderle clandestinamente il doppio di quello che gliele pagava il Comune. Si era nel mezzo dell’abbondanza e si sentivano gli effetti di una carestia crudelissima, e le somme grandiose che rimettevano i comuni rovinavano il publico, ed il privato senza rimediare a questa rovina. I Comuni cedevano sotto una mole di debito smisurata, il popolo abbandonato ogni ritegno correva tutto a farsi mantenere dal publico, i proprietarj nascondevano i raccolti, e le multe, la forza, i giuramenti non erano più efficaci per farglieli consegnare, e gli stessi coltivatori vendevano sfacciatamente i loro vittuali per venire a comprare il pane dal Comune. Tale era la difficoltà delle circostanze allorchè io venni eletto amministratore di questa Annona per la stagione annonaria dell’anno 1800 al 1801. Mi vennero dati tre compagni ma questi ancorchè vecchj e assai più sperimentati di me mi lasciarono solo, o perchè si persuasero della insufficienza propria, o perchè è natura degli affari il ridursi alla amministrazione di un solo. Seguendo i principj che allora dominavano non ommisi cura veruna per esercitare bene il mio uffizio. Presi tutte le assegne dei raccolti tanto dai proprietarj come dai coltivatori, stipulai contratti utili con li fornai, prescrissi che il pane di commiserazione si vendesse solamente contro l’esibita di certi bollettoni che io