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del conte monaldo leopardi 161

a provvedere sè stessi, e nel principio della stagione calcolato il reddito territoriale permettevano o proibivano fino ad un certo segno l’estrazione delle derrate. Per lo più si obbligavano i proprietarii a ritenere per il consumo interno una parte delle loro raccolte, e queste parti si conoscevano col nome di quote. Se l’anno era troppo scarso il Comune comprava altronde per tempo la quantità mancante, e se il prezzo coll’andare della stagione cresceva, il Comune che aveva comprato a buon saggio, rivendeva così, e il popolo non sentiva tutto il rigore della carestia. A poco a poco le nostre Republiche si erano distrutte, e tutti i paesi nostri essendosi ridotti ad essere membri dipendenti dello Stato, dovevano cessare tutti quegli usi e quei provedimenti i quali comechè utili nella loro instituzione, cambiate le cose erano di intralcio al commercio e dividevano e spezzavano quel corpo sociale, che tutte le altre circostanze avevano immedesimato e riunito. Nell’ordine morale però come nel fisico le scoperte le più importanti raramente si fanno tutto ad un colpo, e dalle tenebri alla luce si passa grado a grado. Distrutte le Republiche, aboliti i loro privilegj, subordinate tutte le Comuni al volere del Principe, le Annone sussistevano, e i Proprietarj dovevano dare le quote, i magistrati dovevano provedere al sostentamento del paese, e il popolo si credeva in diritto di venire nudrito dal Comune a buon mercato. Questo difetto per lungo tempo non fu sensibile, perchè non essendo troppo diversi i prezzi da un anno all’altro, e dal principio al fine della stagione, i proprietarj non facevano molta difficoltà nella apprezzarsi delle quote, e queste consistevano in piccole quantità, perchè solamente i più poveri accorrevano ai forni o spacci del publico. La grande maggioranza del popolo si provedeva di grano, e faceva il suo pane a casa, ed era un disdoro ed una umiliazione nel volgo, il vivere di pane comprato. Le