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del conte monaldo leopardi 155

dendo da non meritare l’onore di una confutazione, poichè quando anche si fossero tutte provate non restava luogo alla più lieve punizione. Basti dire che i delitti più gravi del mio zio consistevano nell’avere imprestato il luoco per cucinare ai Generali republicani, nell’essere stato in fenestra quando atterravano le Armi del Papa, e nell’avere anch’esso consegnate alcune vecchie pergamene per abbruciarsi insieme con altri monumenti della aristocrazia. Cavallar conobbe che il mio zio veniva perseguitato, ma siccome l’arresto era seguìto in Bologna dove comandava come Commissario Imperiale un certo sig. Pellegrini più bravo, e più stimato di lui, volle scrivergli per averne il parere, e quasi domandargli tacitamente il permesso di liberarlo. Pellegrini non rispose, ed io mi misi attorno al Cavallar rappresentandogli l’ingiustizia che usava al marchese Mosca, tenendolo in prigione senza colpa, il torto che faceva a sè stesso sottomettendo ad un suo eguale l’esercizio delle proprie attribuzioni, e soggiungendogli altre ragioni ora non so quali, basta che una matina ne ottenni un ordine di liberarlo diretto al Magistrato di Pesaro, rendendomi bensì mallevadore in scritto che il marchese Mosca si sarebbe presentato ad ogni richiesta. Mentre quest’ordine si scriveva stetti bene attento per tenerlo a mente, sicchè ne feci una copia, e spedii subito a Pesaro per le poste un mio cocchiere con l’ordine sigillato, e con la copia. Questa riuscì bene opportuna, perchè il Magistrato, ostinato a strapazzare il povero Mosca, simulò che l’ordine non fosse chiaro, e fece dirgli di scegliere in qual casa o convento bramava di essere detenuto, ma quegli con la mia copia in mano si fece forte, sicchè il Magistrato confessando goffamente di avere letta male la lettera lo mise in piena libertà. Tanto sono ostinati gli odj civili, ma per ciò appunto bisogna evitarli prudentemente tenendosi in buona amicizia con tutti, e cedendo in qualche incontro ancorchè si abbia ragione. Nessun bene compensa la pace, e un piccolo insetto può arrecarci qualche volta molestie crudeli. Nell’anno seguente il marchese Mosca rinunziato il patrimonio ai figli si diede a servire il Regno italiano, e sostenute le Prefetture di Brescia e di Bologna morì nel 1811 in Milano Direttore e Ministro di polizia. Ancorchè in questi uffizii si conducesse da uomo di onore, avrei bramato che morisse in altro esercizio, e in verità sembrava nato a tutt’altro che a servire quel Governo, ma l’ambizione lo mise fuori di strada, e chi si mette a correre fuori di strada torna addietro difficilmente. Non può condannarsi chi procura di elevare se stesso con mezzi onorati, ma non tutte le altezze sono tali che vi possa sedere un galantuomo e un cristiano, e molte volte bisogna dire col santo Re «Elegi abiectus esse in domo Dei mei magis quam abitare in tabernaculis peccatorum».

LXIX.

Reggenza austriaca.

In questo tempo il commissario Cavallar fece, o piuttosto fece fare una organizzazione provisoria per le provincie comandate da lui, e in questo lavoro ebbe le prime parti l’avvocato Fusconi, adesso mio buon amico. In forza di questo statuto si eresse in Ancona una Reggenza suprema che faceva la figura e le funzioni del Governatore Generale di tutto lo Stato, ed altre Reggenze si stabilirono nelle città principali. In Recanati si nominarono Reggenti il cav. Leandro Mazzagalli, il signor Tomasso Massucci, ed io. Io ricusai di accettare quest’ufficio, e il mio posto non venne rimpiazzato, e que’ due signori sostennero l’uffizio loro con molto onore.