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cole da non meritare l’onore di una confutazione, poichè quando anche si fossero tutte provate non restava luogo alla più lieve punizione. Basti dire che i delitti più gravi del mio zio consistevano nell’avere imprestato il luoco per cucinare ai Generali republicani, nell’essere stato in fenestra quando atterravano le Armi del Papa, e nell’avere anch’esso consegnate alcune vecchie pergamene per abbruciarsi insieme con altri monumenti della aristocrazia. Cavallar conobbe che il mio zio veniva perseguitato, ma siccome l’arresto era seguìto in Bologna dove comandava come Commissario Imperiale un certo sig. Pellegrini più bravo, e più stimato di lui, volle scrivergli per averne il parere, e quasi domandargli tacitamente il permesso di liberarlo. Pellegrini non rispose, ed io mi misi attorno al Cavallar rappresentandogli l’ingiustizia che usava al marchese Mosca, tenendolo in prigione senza colpa, il torto che faceva a sè stesso sottomettendo ad un suo eguale l’esercizio delle proprie attribuzioni, e soggiungendogli altre ragioni ora non so quali, basta che una matina ne ottenni un ordine di liberarlo diretto al Magistrato di Pesaro, rendendomi bensì mallevadore in scritto che il marchese Mosca si sarebbe presentato ad ogni richiesta. Mentre quest’ordine si scriveva stetti bene attento per tenerlo a mente, sicchè ne feci una copia, e spedii subito a Pesaro per le poste un mio cocchiere con l’ordine sigillato, e con la copia. Questa riuscì bene opportuna, perchè il Magistrato, ostinato a strapazzare il povero Mosca, simulò che l’ordine non fosse chiaro, e fece dirgli di scegliere in qual casa o convento bramava di essere detenuto, ma quegli con la mia copia in mano si fece forte, sicchè il Magistrato confessando goffamente di avere letta male la lettera lo mise in piena libertà. Tanto sono ostinati gli odj civili, ma per ciò appunto bisogna evitarli prudentemente tenendosi in buona amicizia con tutti, e ce-