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una buona mano di truppe ma noi avremmo dovuto chiudere e fortificare esteriormente la città, adunarvi quantità di villani obbedienti e fedeli, armarli, armarci, e tenerci pronti a combattere. Su di ciò volere egli che si deliberasse fra noi». La materia era delicatissima, e il parlare in qualunque modo comprometteva. Accudire alla difesa era delirare, tradire il nostro cuore e la nostra coscienza e dar mano alla rovina nostra. Controdirla era esporsi a venire dichiarato inimico della Republica, e quindi ad una serie di calamità interminabile. Tutti sentivano le angustie di quella situazione, e tutti tacevano. Io pure le sentivo e sentivo di più che mi compromettevo maggiormente per le circostanze passate, ma risolvei di parlare. A me parve di farlo per sola generosità e zelo della patria, ma forse mi lasciai spingere da imprudenza e vivacità giovanili. Comunque fusse parlai così: «So che in questa circostanza il parlare è pericoloso perchè lo sono ambedue i partiti fra i quali ci resta la scelta ma il cittadino Comandante ci ha chiamati qui per discutere non per tacere, e nei pericoli della patria bisogna aiutarla col consiglio anche a fronte di qualche rischio. Altronde dicendo il mio parere liberamente faccio onore alla lealtà del comandante che invitandomi a proferirlo non ha inteso di tendermi un aguato. Chi è di noi che non abborrisca l’invasione dei briganti e l’anarchia terribile che la siegue? Chi è di noi che fidi nelle forze loro, e nelle loro promesse? Potremo essere di diversi partiti; potrà alcuno fra noi amare il Governo del Papa o di altro Principe più che quello della Republica, ma l’anarchia, il disordine, le rapine, e le stragi non si amano da alcuno, e tutti, poveri o ricchi, ecclesiastici o laici, aristocratici o democratici preghiamo la providenza di allontanare questo flagello da noi. Possiamo però allontanarlo noi stessi? Con quali forze, con