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cambiato in cedole doveva darmi sessanta o settanta mila scudi. Con una porzione di questa somma avrei pagati tutti i miei debiti, con l’altra avrei comprate terre, o acquistati censi fruttiferi, o fatti altri rinvestimenti. La riuscita di questi progetti era infallibile, ma fratanto il prezzo del grano calò, ed anzi per un cero monopolio del Governo non ci era chi lo comprasse, e bisognava cadere sotto una certa compagnia Terziani che lo acquistava per l’Annona di Roma a sette scudi e mezzo fini ogni rubbio. Era agente di questa compagnia il sig. Giacomo Borghi di Loreto il quale però non dava denaro ma soltanto cambiali pagabili fra due mesi, garantite bensì dal principe Doria e da altri nomi rispettabili di Roma. Il bisogno era arrivato, i miei castelli in aria avevano precipitato, e convenne risolversi a vendere come si poteva. Scrissi in Roma per sapere se quelle cambiali erano sicure e mi venne risposto che si pagavano puntualissimamente. Combinai dunque il contratto col Borghi, ma nella matina istessa in cui egli mi spedì le cambiali per scudi 7500 ricevetti altra lettera da Roma in cui ritrattata la prima asserzione, mi si avvertì che il credito di quelle cambiali incominciava a vacillare assai. Rimandai dunque le cambiali al sig. Borghi dicendogli che non volevo saperne altro, ed egli tacque o per discretezza, o perchè lo strepito che avrei fatto non iscreditasse la sua moneta maggiormente.

XLV.

Mio arresto in Ancona.

Vendei alla meglio duecento rubbia di grano, ma crescendo sempre la necessità di vendere l’altro, mi raccomandai al canonico Vincenzi di Ancona, il quale mi pro-