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VIII

pure ne abbia, mi varranno un po’ di grazia, innanzi ad altri, il so purtroppo, mi saranno fonte di vituperio e di strapazzo. Ci vuol pazienza: ma io ho creduto di dover così fare, perchè chi amasse pascersi di pettegolezzi, di sonnecchiare sulla critica, peggio poi se alta critica, d’ingolfarsi nel pelago dell’erudizione da lessici e da enciclopedie, può ben cavarsi la voglia altrove. Ce n’è già tanta dappertutto di questa roba, e tanta ce ne piove sovraccapo ogni giorno!

Un altro peccato mi si può rinfacciare, un peccato grosso assai, che quando ci penso, mi fa proprio vergogna, ed è che il più degli articoli appariscano tirati giù con fretta manifesta e quasi abborracciati; di modo che anche senza prender la lente ed aguzzar la vista non si dovrebbe durar fatica a cogliermi in fallo qua di un’omissione od inesattezza, là d’una certa ineguaglianza di forma e di stile.

A mia giustificazione od almeno a tentar di di minuire la mia mancanza io non addurrò che le molteplici mie occupazioni non mi hanno lasciato far le cose con più agio; che la necessità di dover consegnare al direttore del periodico per quella tal setti mana, spesso pel cotal giorno la tua parte di tributo, non è davvero una benedizione per un povero figlio di Adamo, e che certe cose si fa più presto a censurarle che a farle: di tutto questo io non addurrò niente, per chè mi si potrebbe rispondere con quel signore: «Le cose si fanno, o non si fanno.» Tuttavia non dispero di ottenere un pò di venia; e a non disperar del tutto mi è cagione il considerare che non si vorrà far torto al vecchio proverbio, Peccato confessato mezzo perdonato,