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del conte monaldo leopardi 91

e lasciò cadere il discorso sulle opinioni, e sugli avvenimenti del tempo. Io non conobbi che volesse scandagliarmi o sedurmi, ma mi regolai cautamente, e risposi che avrei saputo vivere e condurmi in tutti i governi. Non pensai più a quest’uomo, quando una sera, stando già i Francesi in Macerata, Ermete figlio di Giuseppe Antonio Vincenzoni mi fermò nell’atrio di casa Roberti, e mi consegnò alcune stampe. Erano esemplari di un proclama incendiario diretto ai Recanatesi, pieno di invettive contro il Governo pontificio, e firmato «Monaldo Leopardi presidente, e Giuseppe Vincenzoni segretario della Municipalità».Questa superchieria mi punse nel più vivo dell’anima non già per timore di esserne compromesso chè in quei giorni il Governo nostro spirante si poteva offendere impunemente ma perchè quel proclama indegno, ignorato affatto da me, urtava le mie massime, e denigrava in faccia di tutto il mondo il mio onore, e il mio nome. In quella gioventù e nella successiva virilità, non ho mai concepito un pensiero che disdicesse a un cristiano e ad un suddito fedele, e mai ho fatto torto alla mia Religione e al mio Sovrano. Ho conosciuti e conosco i molti errori del Governo; me ne sono dolsuto, e me ne dolgo francamente, e vorrei vederli corretti; ma il prestigio della nuovità non mi ha sedotto, le lusinghe della rivoluzione mi hanno lasciato inconcusso, non ho sieduto nel concistoro degli empi, e non ho alzata la voce dalla catedra della pestilenza. Ho vissuto libero sotto l’impero delle leggi, non mi sono avvilito a sorte veruna di adulazione, ho parlato e ho scritto francamente come uno Scita, ma ho conservate inviolate la Fede, e la Fedeltà dei Padri miei, e le lascerò ai miei figli eredità preziosa. Si può esser libero anzi deve esserlo chi non è vile, ma le basi e i confini della vera libertà sono la Fede di Gesù Cristo, e la fedeltà al Sovrano legittimo. Fuori di questi limiti non