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documenti parlamentari
S. M. Vittorio Emanuele II assume il titolo di Re d’Italia.
Signori! — La commissione incaricata di riferire sul progetto di legge, per cui il re Vittorio Emanuele II assume il titolo di Re d’Italia, ha bisogno appena di avvertire come questa legge, tanto per il suo oggetto, quanto per la sua importanza, non abbia nulla di comune con quelle sulle quali noi siamo d’ordinario chiamati a deliberare. Dal punto di vista costituzionale ella potrebbe credersi fors’anche superflua. I titoli del Re Vittorio Emanuele II alla corona d’Italia sono scritti in dodici anni di prodezza, di fede, di costanza. Questi titoli furono riconosciuti da migliaia di volontari riuniti intorno al glorioso vessillo, ch’egli aveva raccolto dalla polvere di Novara per innalzarlo al sole di Palestro e di San Martino; riconosciuti dalle cento città, che sotto gli occhi stessi dei loro tremanti oppressori piantavano sulle loro torri questo glorioso vessillo; riconosciuti, validati, sanciti dal suffragio unanime della nazione. Il diritto di Vittorio Emanuele II al regno d’Italia emana dunque dal potere costituente della nazione; egli vi regna in virtù di quegli stessi plebisciti ai quali si deve la formazione del regno d’Italia.
Il voto che il Governo ci chiede non è dunque un atto nuovo destinato a produrre tale o tal altro effetto giuridico; è la ripetizione, o, per dir meglio, il riassunto finale, il compendio magnifico di tutti gli atti, mediante i quali il popolo italiano ha in tanti modi e in tante occasioni manifestata la sua volontà; è, per dirlo colle parole della relazione che precede il progetto di legge, un’affermazione solenne del diritto nazionale, un grido d’entusiasmo convertito in legge.
Ma la significazione e il valore morale del voto non dispensavano la Camera dall’obbligo di considerare le pratiche conseguenze, che per avventura avrebbero potuto derivarne.
Parve anzi alla maggioranza degli uffizi che, se questo grido di entusiasmo dovesse essere nel tempo stesso la formula ufficiale per l’intestazione degli atti, questa formula non avrebbe in tutto corrisposto all’essenza vera della monarchia rinnovellata dal suffragio universale.
Ora un tale scopo, al quale mirava la maggioranza, poteva essere conseguito sia coll’emendare la legge proposta dal governo, sia col provvedere per mezzo d’una legge speciale e successiva.
Gli uffizi non esitarono a pronunciarsi per questo, secondo partito.
Prima di tutto doveva considerarsi che la legge, nella forma sotto la quale era stata proposta, aveva già ottenuta l’approvazione del Senato. Emendata da noi, avrebbe dovuto essere di nuovo sottoposta alle deliberazioni di quell’Assemblea. Sarebbe stato doloroso che un atto politico di tanta importanza, aspettato con un’impazienza così viva e così confidente dall’intera nazione, si trovasse ritardato. Il secondo partito aveva inoltre il vantaggio di separare appunto le questioni secondarie, sulle quali si possono avere opinioni diverse, dal grande atto politico, la grandezza e l’efficacia del quale starebbe tutta nella prontezza e nell’unanimità dei suffragi.
Ritenuto dunque che non dovesse più a lungo differirsi, nè subordinarsi a tutti gl’incidenti d’una questione parlamentaria il primo e solenne atto col quale l’Italia vuole affermare sè
E sebbene l’impegno formale preso dal Governo del Re nella discussione di questa medesima legge che ebbe luogo in Senato bastasse ad escludere ogni dubbio a questo riguardo, tuttavia la Commissione desiderò interpellare il Presidente del Consiglio, che, recatosi nel suo seno, confermò e ripetè le dichiarazioni già fatte nell’altra Camera dal suo collega il ministro della giustizia; aggiungendo di più come il solo motivo che aveva finora trattenuto il Governo dal presentare la proposta di legge sull’intestazione degli atti pubblici fosse stato un sentimento di rispetto verso la Camera elettiva, che non s’è anche pronunciata su questa prima legge, della quale quella seconda non sarebbe che la conseguenza ed il compimento.
Le questioni che furono sollevate negli uffizi in ordine alla intestazione degli atti pubblici sono per tal modo riservate alla discussione che avrà luogo quando ci sia presentata la legge relativa.
Il voto che oggi ci si chiede conserva dunque il carattere puramente nazionale che il Governo ha voluto dargli, e la Commissione unanime confida che sarà veramente un grido d’entusiasmo convertito in legge.
Ci sono delle oasi nei deserti della storia; ci sono nella vita delle nazioni dei momenti solenni, che potrebbero chiamarsi la poesia della storia; momenti di trionfo e d’ebrezza, nei quali l’anima, assorta nel presente, si chiude ai rammarichi del passato, come alle preoccupazioni dell’avvenire.
Noi traversiamo una di quelle oasi; noi siamo in uno di quei momenti; e come mai in tale momento si sarebbe invano fatto appello all’entusiasmo della Camera? Come mai il nostro voto non sarebbe oggi immediato ed unanime? Quale tra i sentimenti che ci animano potrebbe essere più forte di quello che vi riunisce tutti — l’amore d’Italia?
Rendiamoci una volta giustizia! quanti qui convenuti dalle varie parti d’Italia sediamo su questi scanni:
quanti sediamo sui banchi di questa Camera, tutti abbiamo diversamente lavorato per la medesima causa; tutti abbiamo portato la nostra pietra al grand’edifizio, sotto il quale riposeranno le future generazioni. Qui i volontari di Calatafimi potrebbero mostrarci sul petto le gloriose cicatrici; qui i prigionieri di Sant’Elmo, intorno ai polsi, il callo delle pesanti catene; qui colle canizie, colle rughe precoci, oratori, scrittori, apostoli di quella fede che fece i soldati ed i martiri; qui i generali che vinsero le nostre battaglie; qui gli uomini di Stato che governarono le nostre politiche; di qui parta unanime adunque quel grido di entusiasmo! qui finalmente l’aspettata tra le nazioni si levi, e dica: Io sono l’Italia!