Questa pagina è stata trascritta ma deve essere formattata o controllata. |
138 | mons. pietro crostarosa |
poco ci rimane. Per ciò vorremo dire che ai tempi repubblicani mancassero in Roma grandi e nobilissimi palazzi?
Gli scavi che presentemente si conducono nella chiesa di s. Cecilia in Trastevere, come hanno confermato la mia opinione sulla origine delle basiliche cristiane — che io ritrovai nella casa romana di famiglia consolare — cosi, alcune costruzioni quivi venute alla luce, mi sembra possano indicarci la struttura dell’opera laterizia dei tempi repubblicani. Sicché ora son di parere che i muri di questa epoca nella loro costruzione sieno identici a quelli dell’età imperiale, presentando lo stesso paramento di mattoni triangolari di cm. 20 e l'interna imbottitura a sacco; e che se ne differenziano per la qualità forma dei laterizi impiegati, perchè mentre i mattoni de’ tempi imperiali sono puliti e lisciati da tutti e due i piani, questi sono cosi rifiniti da qua parte sola ed hanno l'altra superficie irregolare e serbante ancora le traccio della scabrosità del terreno, su cui andò poggiata quando era ancora molle l'argilla.
Di più i prodotti delle figuline di quei lontani tempi non presentano le lunghe inscrizioni dei laterizi dell’impero, ma i loro bolli sono anelli più o meno grandi o rettangoli ornati di qualche foglia, sono semplici contrassegni di fabbrica. Il nome del proprietario o del conduttore dell’officina e quello del figulo appariscono assai raramente, e in molte centinaia di mattoni che ho avuto agio di osservare, mi è avvenuto di riscontrare un solo Marcus. Di più, sebbene anche nell’epoca repubblicana la massima parte delle figuline appartenessero al fisco, soltanto all’epoca imperiale questa proprietà viene indicata nella leggenda dei diversi mattoni.
Il Dressel, nella prefazione al XV volume del Corpus inscriptionum latinarum, stabilisce i canoni fondamentali dell’epigrafia doliare e nota come le iscrizioni più antiche si distinguano in un modo assoluto per la loro laconicità. Aggiungeremo che al principio del secondo secolo dell’era volgare invalse l’uso di nominare nei sigilli dei mattoni e delle tegole i consoli in carica, e che quest’uso, seguito massimamente fra gli anni 120 e 145 circa, a mano a mano si venne facendo più raro, fino a che dopo il quarto secolo non sembra ricomparire più affatto.
Fra i sigilli più rari, rinvenuti sui tetti delle basiliche, mi piace di rammentare qui quello di Cassio che ben 66 volte ricomparisce su le tegole di s. Maria Maggiore. Per intendere tutto il valore delle conclusioni che dalla frequenza di quel bollo io trassi, converrà aver presente che le tegole antiche esistenti sul tetto di quella basilica sono 6,374 e che in origine dovettero essere circa 14,000. Ma siccome delle 6,374 superstiti solo 275 hanno il sigillo, ne viene di conseguenza che se ne ha una bollata per ogni 23, che non lo sono. Le ragioni di questo fatto furono da me esposte a suo tempo, comunque applicando ora quelle cifre e quelle proporzioni al caso di Cassio, risulta che oltre tremila tegole dovettero uscire da quell’officina, cioè che poco meno della quarta parte del tetto anticamente fu ricoperta con embrici della fabbrica di Cassio. Nell’articolo che pubblicai nel Nuovo Bullettino di Archeologia cristiana dichiarai quale fosse il grado di attendibilità di questi calcoli, ora mi preme di far rilevare come il sigillo di Cassio riapparisca sul tetto della chiesa di s. Croce in Gerusalemme, che sarà l’oggetto di un’altra imminente mia pubblicazione1.
Tornando a s. Maria Maggiore e messa da parte l’idea di una origine siriaca della tegola di Cassio, come dimostrai2, accettai dal de Rossi l’interpretazione delle tre sigle X M R che il grande maestro aveva data. Perchè, se esse furono assai usate nell’antica epigrafia della Siria, qual meraviglia che nel secolo IV si ripetesse o si escogitasse