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124 | giuseppe bonavenia s. i. |
di santa Maria Maggiore e di s. Clemente non sono di quel secolo; ma il loro confronto non ci sarà di poca utilità si a meglio conoscere alcune particolarità che il tempo ha fatto scomparire dalle basiliche precedenti, si a meglio convincere gli studiosi che non tutto ciò che tuttora conservasi in alcune basiliche primitive è nato con esse.»
Tra le altre cose che egli esclude dalle basiliche romane del quarto secolo sono gli amboni; giacché favellando più oltre della basilica di s. Agnese avverte che nella tavola XLIX da lui fatta delineare «vi manca ogni avviso degli amboni, che il Bosio (son sue parole) mi attesta, essere stati all’età sua tolti alla basilica per maggiormente allargarla. Da questa omissione non poteva io a meno di esimermi se voleva dare a’ miei lettori la s. Agnese del quarto secolo, nel quale non trovo amboni nelle nostre romane basiliche.» Cosi egli.
Or senza entrare nel merito di tal questione o in altri particolari; la parte finita e ben conservata del ms. contiene, oltre il proemio già detto, l'illustrazione delle due basiliche di s. Agnese e di s. Lorenzo extra muros. I rimanenti fogli ci danno un buon capitolo intorno alla basilica, che quivi l’autore appella «Liberiana e Sistina dell’Esquilino». Sette fogli in tutto. Nulla rimane intorno alla basilica di s. Clemente. Invece quindici altri fogli illustrano quella di s. Paolo; e di nuovo nulla della basilica Vaticana; nulla dei battisteri. Di questi forse non potè scrivere affatto. Tra le cose perdute del Marchi debbo anche noverare le tavole metalliche in cui erano incise le icnografie e ortografie delle predette basiliche; le quali tavole, facendo seguito alle 48 della Architettura della Roma sotterranea cristiana, andavano dal numero 49 al 78. Io ne ho una copia stampata in volume rilegato, cui per altro mancano le tavole 57-60; 64-68; 71.
Ora tornando al manoscritto superstite, in esso l’autore non apparisce antiquato dopo gli studi che si sono pubblicati intorno alle basiliche da cinquant’anni in qua; anzi vi ha del nuovo sia nelle cose sia nel modo di esporle; e la sodezza e bontà del metodo è degna di tal maestro. Tutto poi è informato al concetto fondamentale che il suo scritto «possa essere di qualche aiuto a costituire quella che è scienza veracemente positiva» (f. 11). Giacchè come dice altrove: «Le cognizioni pratiche sono quelle che si acquistano colle lunghe esperienze e coi ripetuti confronti: e queste sono veramente quelle che formano il criterio sicuro e aiutano e perfezionano la scienza dell’antiquario. Le occhiate passeggere o le osservazioni che fànnosi correndo, e come suol dirsi dallo sportellino della carrozza del viaggiatore, sono ottime per i vanitosi che si contentano del poter dire: sono stato nella città eterna ed ho veduto Roma sotto e sopra terra» (Estratto dalla raccolta religiosa la Scienza e Fede, fasc. 112, Napoli, 1850). Nulla dirò dell’affetto fondato in salde ragioni ch’egli mostra per la forma basilicale delle nostre chiese, e come vorrebbe trasfonderlo efficacemente non solo negli studiosi ma negli uomini di chiesa, cui si offra l’occasione di por mano alla costruzione di sacri edifizi. E la basilica sembragli (qual’è veramente) cosi adatta e conveniente al culto cristiano, ch’egli non teme di affermare: «La Chiesa romana avrebbe di per sé inventata questa forma di edifizio, ove non l’avesse trovato già in uso.» Alludendo con queste ultime parole alle basiliche civili, che originariamente e circa due secoli prima del cristianesimo trovavansi già in Roma, incominciando da quella che dal nome di Marco Porcio Catone fu detta basilica Porcia (Prefaz., foglio 8).
A dare poi un brevissimo saggio della sua squisita diligenza valga il tratto seguente. Scrive egli dunque cosi: «Non vorrei che qualcuno dei miei lettori prendesse come sinonimo le voci santuario, presbitero, coro e se vogliasi anche bema, come comunemente vien chiamata questa nobilissima tra tutte le parti della basilica. Sono nomi di parti diverse, che per uso troppo comune nel parlare umano si adoperano a significare il tutto. La voce bema, che non è nostra, significa propriamente i gradini per cui si sale alla tribuna. Il santuario è propriamente il solo altare in cui si celebra il santissimo