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Canto quarto 77


Un’aura crassa entro siffatta invoglia
     Fa le veci di spirito e di mente,
     E se la preme una maligna voglia,
     Fragorosa prorompe e puzzolente;
     Il cor, se n’ebber mai, l’han nella coglia,
     E nel suo loco annidasi un serpente;
     Ogn’altro membro del corpaccio osceno
     È un intruglio di sterco e di veleno.

Gracchia ognun dal suo guazzo: Onore, Fede,
     Giustizia, Libertà, Patria, Ideale;
     E il vulgo ingenuo, ch’armeggiar li vede
     E la penna brandir come un pugnale,
     Apostoli, campioni, eroi li crede,
     Arche d’ogni virtù teologale;
     Ne ammira i lazzi, l’animo, lo stile,
     E divien come lor perfido e vile.

E dico lazzi, perocchè costoro
     Che di malizia vivono e di frode,
     E non credono a nulla altro che all’oro,
     Mercanteggiando il biasimo e la lode,
     Per meglio attrarre in fra le reti loro
     La turba che più dà quanto più gode,
     Fanno i giullari, e velan di facezie
     Le lor venali e velenose inezie.

6. — Rapisardi, Atlantide.