Un’ibrida, deforme, anfibia razza
Quivi superba in sua tristizia alligna,
Ed or tra ’1 fango placida gavazza,
Or tra gli sterpi armeggia acre ed arcigna;
Solo chi con più voce urla e schiamazza
E l'anima ha più sozza e più maligna
In grande opinion tra’l vulgo viene,
E lode e regno in su’ men tristi ottiene.
Vedi? allor disse Edea, tra questo lezzo
I gazzettieri venderecci han regno,
Mostri d’odio non già, ma di disprezzo
Anzi neppur di sprezzo oggetto degno:
Mirali; e se la nausea ed il ribrezzo
Al veder non ti fa troppo ritegno.
Osserva come tutti in varie forme
Hanno per capo una vescica enorme.
Ma poi che qui la nebbia è così densa,
Ch’oltre al naso ciascun vede a fatica,
Vien dalla turba credula e melensa
Presa per una stella ogni vescica:
Nella sua vacua leggerezza immensa
Nuota ognuna sul fango, e par che dica:
All’infelice umanità smarrita
Io son la via, la verità, la vita!