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Canto terzo 67


L’alta speranza, il desiderio ardente
     Facea d’Esperio balenar le ciglia,
     Quando intorno addensar vede repente
     L’ombra che ad invernal notte somiglia,
     Se non quanto il suo sen sinistramente
     Squarciasi, ed una luce atra e vermiglia
     Con frecce e serpi di ceruleo foco
     Cresce la muta orridità del loco.

Quivi in ira al Pensiero, al sole ignoto,
     Col volto su le spalle irte converso,
     Poggia il Dogma feroce entro un immoto
     Lago di sangue fino al ventre immerso;
     Senz’occhi, senza voce, senza moto
     Par che aspetti la fin dell’universo
     Per diffonder le sue tenebre intense,
     Unico re, su le ruine immense.

Sepolto or giace in tenebroso orrore,
     In fredda notte che non ha dimane,
     Ma già molto non è che uno splendore
     Tepido avvolse la sua mole immane:
     Perpetua a lui dintorno il bieco Errore
     Una fiamma nutria di carni umane,
     Mentre un ululo udia l’orbe atterrito:
     Il ministro son io dell’Infinito!