Cinto il vasto edificio è d’ognintorno
D’un giardino, anzi barco e bosco immenso,
Che al primo entrar di miti arbusti è adorno,
Ma poi d’atri e maligni alberi è denso;
Piovon perpetua notte al reo soggiorno
Immani euforbj dal veleno intenso,
Perfide juche, ortiche arborescenti
Dalle foglie irte di viperei denti.
Come colubri, cui tra loro aggruppi
Frigida fame o caloroso amore,
Serransi i rami in mille aspri viluppi,
Onde piove un viscoso, orrido algore;
Sprigionasi dai lor torpidi gruppi
Qualche livida bacca e qualche fiore;
Stillano i tronchi dal ferrigno seno
Gomme che pajon latte e son veleno.
Rapaci augelli dal femmineo volto,
Dal teso ventre e dall’assiduo strido.
Qui dell’oro rapito al mondo stolto
Fan mucchj e monti, e su vi fanno il nido;
Da questa selva, ove non restan molto,
Van della terra al più remoto lido,
E con promessa, che i più tristi appaga,
Assicurano il cielo a chi più paga.