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58 Atlantide


Trarre Esperio si lascia all’aura aperta,
     Benchè il veder quelle ricurve schiene
     D’ignoranti e d’ipocriti una certa
     Smania gli avesse accesa entro le vene;
     Chi grufola nel fango ira non merta,
     Poi dice, e credo che dicesse bene:
     Senza questi animali umili e brutti,
     Resterebbe il buon Dio senza prosciutti.

Ghignando a un tal pensier, dietro all’amica
     In un vasto edifìcio entra a man destra:
     Qui, gli susurra Edea, la bestia antica
     Ai nostri danni i suoi devoti addestra;
     Quindi alla turba stupida e mendica
     Tira il pane del ciel con la balestra;
     In questo a un tempo e carcere e museo
     Abita e regna il Minotauro ebreo.

Ad un tal nome, Esperio, ch’è poeta,
     Subito al Pegaseo balza in arcione:
     Se costui, pensa, è pari a quel di Creta,
     Io qual Teseo verrò seco a tenzone;
     Ma la compagna sua, ch’è più discreta,
     Lo richiama ben tosto alla ragione;
     E temendo per lui qualche malanno,
     Gii addita due che quivi a guardia stanno.