Trarre Esperio si lascia all’aura aperta,
Benchè il veder quelle ricurve schiene
D’ignoranti e d’ipocriti una certa
Smania gli avesse accesa entro le vene;
Chi grufola nel fango ira non merta,
Poi dice, e credo che dicesse bene:
Senza questi animali umili e brutti,
Resterebbe il buon Dio senza prosciutti.
Ghignando a un tal pensier, dietro all’amica
In un vasto edifìcio entra a man destra:
Qui, gli susurra Edea, la bestia antica
Ai nostri danni i suoi devoti addestra;
Quindi alla turba stupida e mendica
Tira il pane del ciel con la balestra;
In questo a un tempo e carcere e museo
Abita e regna il Minotauro ebreo.
Ad un tal nome, Esperio, ch’è poeta,
Subito al Pegaseo balza in arcione:
Se costui, pensa, è pari a quel di Creta,
Io qual Teseo verrò seco a tenzone;
Ma la compagna sua, ch’è più discreta,
Lo richiama ben tosto alla ragione;
E temendo per lui qualche malanno,
Gii addita due che quivi a guardia stanno.