Non però tutti; chè talun sembianza
Di turgid’otre o di vescica assume,
E i miasmi che infettano la stanza
Disperdere coi suoi buffi presume:
Tal da’ campi del ciel, se marzo avanza,
Soffiano i venti a dileguar le brume;
Se non che di costui gli alti rumori
Non fugan geli e non educan fiori.
Sopra quest’aula un bel salone è posto,
Chiamato il Magazzin delle Parrucche,
Dove agli eletti si tramutan tosto
I vestiti in livree, le teste in zucche:
Aggrapparsi al passato ad ogni costo
È il fin delle costoro opere giucche;
Ma a provar ch’ei son fieri ed han coscienza,
Sbarrano gli occhi e fan la riverenza.
Benchè intarlati dall’età, costoro
Veglian sempre dintorno al regio soglio,
Ch’è confidato alla custodia loro
Come a’ paperi un tempo il Campidoglio;
E sì compresi ei son del lor decoro,
Che s’un cala le brache e straccia un foglio,
Mostrano con le lor vociacce roche,
Che legittimi son figli dell’oche.