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Canto secondo 45


Non però tutti; chè talun sembianza
     Di turgid’otre o di vescica assume,
     E i miasmi che infettano la stanza
     Disperdere coi suoi buffi presume:
     Tal da’ campi del ciel, se marzo avanza,
     Soffiano i venti a dileguar le brume;
     Se non che di costui gli alti rumori
     Non fugan geli e non educan fiori.

Sopra quest’aula un bel salone è posto,
     Chiamato il Magazzin delle Parrucche,
     Dove agli eletti si tramutan tosto
     I vestiti in livree, le teste in zucche:
     Aggrapparsi al passato ad ogni costo
     È il fin delle costoro opere giucche;
     Ma a provar ch’ei son fieri ed han coscienza,
     Sbarrano gli occhi e fan la riverenza.

Benchè intarlati dall’età, costoro
     Veglian sempre dintorno al regio soglio,
     Ch’è confidato alla custodia loro
     Come a’ paperi un tempo il Campidoglio;
     E sì compresi ei son del lor decoro,
     Che s’un cala le brache e straccia un foglio,
     Mostrano con le lor vociacce roche,
     Che legittimi son figli dell’oche.