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Canto undecimo 235


Colui che come turbo esiziale
     In un vampo di morte arse la terra,
     Il Caino d’Ajaccio, onde immortale
     Parve l’opera immane or qui si atterra:
     Il Grande, l’Invincibile, il Fatale,
     Di Dio la spada, il fulmine di guerra,
     La speranza e il terror dell’universo
     È qui nel gelo dell’orror sommerso.

Stolto! e non seppe, che ben tenue scorza
     L’opra ha dell’armi ed all’età non dura;
     Che sol breve stagion l’Odio e la Forza
     Contro l’Amore e la Ragion congiura;
     Che la gloria dell’uom presto si ammorza,
     Se alimento d’onor non l’assicura;
     Che nelle notti della Storia orrende,
     Unico faro la Giustizia splende.

In tal serena idea gioía del pari
     D’Esperio il core e della sua compagna,
     Quando di rossa luce arsero i mari,
     E un gran foco s’alzò su la montagna:
     Così velando i plenilunj chiari,
     Qui dove il piè la mia Catania bagna,
     Mutasi l’aria e s’invermiglia tutta,
     Or che Gibello i suoi disdegni erutta.