Pagina:Atlantide (Mario Rapisardi).djvu/227


Canto decimo 227


Ellero è l’altro, a cui diè Machiavello
     L’indagin acre, ond’egli in dotte guise
     Con severo, anatomico scalpello
     L’idra borghese in ogni parte incise;
     A lui tra’ primi l’Ideal novello
     Dall’inaccesso vertice sorrise;
     Ed ei del suo pensier su le inaccesse
     Cime un altar con l’opre sue gli eresse.

Quel disdegnoso in su la tolda ritto,
     Fosco il crin, fiso il guardo, ampia la fronte,
     È il vate etneo, che come spada ha dritto
     L’animo, ardente il cor, le rime pronte;
     Sta l’Ideal nella sua mente fitto,
     Qual vessillo di guerra in cima a un monte,
     Odio e terror della congrega impura,
     Che da lui dispregiata in lui congiura.

Una fanciulla nobile e gioconda,
     Dai modi schietti e dall’ingenuo viso,
     Su la spalla di lui posa la bionda
     Testa e il rallegra d’un gentil sorriso;
     Come tenue convolvulo circonda
     Alber che più d’un ramo ebbe reciso,
     Ella così pietosa a lui si stringe,
     E dell’anima sua tutto il ricinge.