Pagina:Atlantide (Mario Rapisardi).djvu/226

226 Atlandide


Qui d’Enna il pensator dotto e pugnace
     Nel plutòcrate mostro i dardi apposta:
     Memorabile ardire, onde l’edace
     Turba alla gogna finalmente è posta;
     Piccolo stuol, ma fervido e tenace,
     Di battaglie bramoso a lui s’accosta;
     E primo è quei che con eraclie braccia
     Le catanesi arpíe sgomina e caccia.

V’è col pensoso ed erudito Arturo,
     Cui l’alto cor non impietrò Medusa,
     L’inclito Edmondo, che del mio futuro
     Regno alla luce or or l’anima ha schiusa:
     Come del regno mio fulgido e puro
     Restar potea la dolce anima esclusa?
     Sordo a’ veri dolori e all’uman pianto
     Chi su finti dolor pianger fe’ tanto?

Mira quei due, che pensierosi, in parte,
     Piegan le fronti altere e gli occhi mesti:
     Il Trezza è l’un, che in generose carte
     Con Lucrezio intimò guerra ai Celesti;
     In igneo fascio la dottrina e l’arte
     Strinse, e ne fulminò gl’idoli infesti,
     Nobile cor, che i ferri, onde lo strinse
     Un cieco dio, spezzò fremendo, e vinse.