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220 Atlandide


Lento sì, ma crescente, esiziale
     L’igneo fiume procede in suo cammino,
     Nè forza contro a lui nè arte vale,
     Chè lui nutre il Pensiero, urge il Destino;
     Librata innanzi a lui su le grandi ale
     Tende la Storia il dito adamantino,
     E al ben dell’uomo unicamente fida,
     Contro i rei tutti inesorata il guida.

Ma che parlo e che taccio? E di codeste
     Liete immagini o tristi a te che giova,
     Se, lasciate le cure altrui moleste,
     Pace l’anima tua nel sonno trova?
     Dormi, immemore Esperio, e ti sian queste
     Ree piagge ospizio e queste frondi alcova:
     Al regno, ov’han l’eccelse alme soggiorno,
     Di te ridendo e disdegnando io torno.

Non zagaglia così stridendo scote
     Di dormente nemico a morte il petto,
     Come d’Esperio i visceri percuote
     D’Edea l’amaro, acuminato detto:
     Balza dal sonno, e rosse ambe ha le gote
     Di vergogna ad un tempo e di dispetto;
     E in lei, che su la spalla in dolce piglio
     La man gli ha posto, alzar non osa il ciglio.