Lento sì, ma crescente, esiziale
L’igneo fiume procede in suo cammino,
Nè forza contro a lui nè arte vale,
Chè lui nutre il Pensiero, urge il Destino;
Librata innanzi a lui su le grandi ale
Tende la Storia il dito adamantino,
E al ben dell’uomo unicamente fida,
Contro i rei tutti inesorata il guida.
Ma che parlo e che taccio? E di codeste
Liete immagini o tristi a te che giova,
Se, lasciate le cure altrui moleste,
Pace l’anima tua nel sonno trova?
Dormi, immemore Esperio, e ti sian queste
Ree piagge ospizio e queste frondi alcova:
Al regno, ov’han l’eccelse alme soggiorno,
Di te ridendo e disdegnando io torno.
Non zagaglia così stridendo scote
Di dormente nemico a morte il petto,
Come d’Esperio i visceri percuote
D’Edea l’amaro, acuminato detto:
Balza dal sonno, e rosse ambe ha le gote
Di vergogna ad un tempo e di dispetto;
E in lei, che su la spalla in dolce piglio
La man gli ha posto, alzar non osa il ciglio.