Stuol di neri rapaci, a cui corrotte
Carni son pasto ed odioso è il giorno,
Saran gl’ispidi mostri, onde le frotte
Fremendo or miri al grande oppresso intorno;
Non prima un raggio ferirà la notte,
Dilegueranno dall’uman soggiorno;
E il regno lor che sembra ai vili eterno,
Memoria diverrà d’odio e di scherno.
Laggiù, vedi? laggiù, dentro alla densa
Tenebra che ti usurpa il ciel lontano,
Ed a cui, senza il mio favor, l’intensa
Virtù del ciglio aguzzeresti invano,
Si matura laggiù l’anima immensa,
Che tutto innoverà lo stato umano:
Un fremito, un fervor, qual di roventi
Lave, per le commosse aure non senti?
Squarciato ha i fianchi al secolar colosso
L’ignea corrente, e procellosa irrompe,
Mentre un vivo baglior di fiamme rosso
Lingueggia all’aure e l’atre nebbie rompe;
Già l’armento dei re, dal sonno scosso,
Armi ostenta e promesse in ardue pompe;
Già di Levi il pastor con prece bieca
La grande ora del fato invan depreca.