E tu che armando invan lo sguardo losco,
L’aguzza testa serpentino avventi,
Facondo faccendier, ben ti conosco,
Che d’Aspromonte il marchio asconder tenti!
Ben la volpina età, rabula fosco,
Simulacri a te foggia e monumenti,
Se al vulgo ignavo, onde tu sei l’emblema,
Son astuzia e viltà gloria suprema!
Quell’uccellaccio dalle gambe a stecco,
Allampanato, squallido, ritinto,
È il terribile eroe di princisbecco,
Che a Custoza restò scornato e vinto;
Ben apre ancor, dopo tant’anni, il becco,
E gracchia: Io fui nell’empia rete spinto;
Non perfidia o viltà, ma fu cagione
Della sconfitta mia l’esser coglione!
L’altro, che bieco in lui gitta lo sguardo,
È il burbanzoso guerriglier di Spagna,
Che di Gaeta e di Castelfidardo
Il ducato pappossi e la cuccagna;
Con moto di pavon solenne e tardo
Misurando egli vien l’alta campagna,
Mentre fan sotto a lui strilli di gioja
Di Brescia il birro e di Fantina il boja.